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Il cronista della Stella Rossa

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Sottoposto a censura nell’Unione Sovietica post bellica, mai completamento adottato dall’Occidente perché poco calzante con i canoni della “dissidenza classica”, Vasilij Grossman ha trovato negli ultimi decenni il posto che merita fra i grandi della letteratura mondiale.

Nella sua vita scorrono nomi e luoghi della cronaca dei nostri giorni. Nato in Ucraina a Berdichev in una famiglia ebraica assimilata, sostenitrice della Rivoluzione d’Ottobre e decimata dalla furia nazista (mamma inclusa), Grossman studia chimica e lavora nelle miniere del Donbass, a Donestk. Ma la vocazione è un’altra: la scrittura.
Diventerà uno dei più celebri giornalisti di guerra, scrivendo per uno dei giornali dell’esercito: Stella Rossa. Al seguito dell’Armata Rossa, Grossman viaggerà da Stalingrado fino alla Polonia, fino alla scoperta dei campi di sterminio nazisti di Treblinka e Majdanek.

Dopo la guerra avvia il progetto letterario della sua vita: un “Guerra e Pace” del XX secolo, composto da Stalingrado, finora inedito in Italia, e da Vita e Destino, pubblicato nel 2008 sempre da Adelphi.
Stalingrado è il titolo che l’autore avrebbe voluto dare fin dalla prima edizione russa. Ma la censura sovietica volle diversamente: insieme ad altre “correzioni”, lo chiamò “Per una giusta causa“.

Come in Tolstoj, anche nell’opera di Grossman la grande Storia collettiva e la piccola storia dei singoli si scontrano: la prepotenza della prima annichilisce e distrugge la vita dei secondi, dei Vavilov, degli Saposnikov, degli Strum.
Il colpo mortale che Hitler e Mussolini volevano infliggere all’Unione Sovietica si trasforma nella disfatta nel nazifascismo trascinando milioni di essere umani in un gorgo mortale. I singoli, che nulla possono di fronte al fiume della Storia, sono però in grado di conservare bagliori di umanità e di bontà.

Mentre la guerra si avvia alla fine, il cuore e la testa del cronista della Stella Rossa custodiscono la speranza di assistere all’apertura di una nuova pagina della storia del suo Paese, in cui possano emergere le reali esigenze del popolo e degli esseri umani che con epica resistenza si erano opposti al nazismo: meno povertà, più libertà.
In Stalingrado, infatti, l’amor di patria non è mai bieco retorico nazionalismo, come quello imposto dalla retorica staliniana, bensì apporto straordinario dei singoli soldati, ufficiali, civili. Sono loro quelli a cui la Russia, l’Unione Sovietica, avrebbe dovuto dire grazie. Stalingrado è un tributo a tutti loro.

Vasilij Grossman, Stalingrado, Adelphi, 28€

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