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Non c’è vaccino per il pericolo

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Quanti terremoti, quanti disastri raccoglie la memoria di Franco Arminio camminando per l’Italia. Non possiamo definirli naturali perché molte di quelle tragedie sono conseguenza dell’incuria, dell’edificazione selvaggia, del fatalismo interessato, dell’insicurezza sul lavoro, della manutenzione mancata.
Per ogni terremoto, per ogni paese perduto Arminio ci offre una poesia, una lettera, un racconto dolente, senza rinunciare alla speranza.
Così è per il terremoto dell’Irpinia di cui è stato testimone diretto e della vergogna dei “non soccorsi” denunciata da un “incazzato” Sandro Pertini e da cui nacque la Protezione civile italiana. Così è per le visite ai paesi “interrotti” di Marche, Lazio e Abruzzo, per il ricordo dei 1000 morti del Friuli, per il bus “abusivo” volato giù dal viadotto di Acqualonga in un punto senza protezione, per il Ponte Morandi e per il “terremoto” sigillato dentro i giorni della pandemia.
Oltre la retorica della ricostruzione o della ripartenza, ci sono le terre mutate dalla forza della terra e dai nostri terremoti interni. Mutati e spopolati i paesi, saltata le solidarietà caduta la casa della comunità. Tutti abbattuti dal senso di insicurezza e pericolo, dalla ricerca dei colpevoli, “gli altri” (noi mai), dall’invidia per chi ha avuto più di noi, dall’astio solitario di fronte a uno schermo.

I paesi sono stati abbattuti non solo dai terremoti ma anche dal non ritorno, dal continuo esodo “emigrante”, dall’abbandono, dalla mancanza di servizi, dalla chiusura di negozi, dalla fine delle vite. La nostra, che è una nazione di paesi e montagne che ha girato le spalle a paesi e montagne. Ha girato le spalle a un pezzo fondamentale del suo specifico umano e paesaggistico: i suoi millanta borghi. “Avere un paese significa avere più mondo, significa avere il mondo più il paese”.
Per chi non c’era mentre la terra tremava, Arminio ci dice che è andata male per quelli che c’erano. Dopo lo slancio civile e democratico che segue ogni sciagura, il potere ha ripreso i suoi spazi, occultato le colpe, trasformato le sciagure in grandi e piccoli business. Ma soprattutto ha creato una bolla protettiva di comfort televisivi, di consumi per tutti e consegne “prime”.
Una bolla dentro cui si presume sicurezza mentre ci trasformiamo in pigri paurosi. L’esortiamo, e la speranza, è chiara: usciamo dalla bolla, riscopriamo la sensualità delle battaglie contro l’ingiustizia, lungo i cammini che ci portano lontano dal potere, la ruvidezza della vita vera, anche dopo i boati dei terremoti. Abituiamoci all’incertezza, al pericolo, impariamo a tremare.
“Non rassegniamoci a vivere la realtà come una forma di intrattenimento, comprese le volte in cui ci indigniamo, in cui protestiamo. La realtà è un luogo sacro in ogni suo punto”.

Franco Arminio, Lettera a chi non c’era. Parole dalle terre mosse, Bompani, 16€

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